"Ius soli temperato" e "Iusculturae" Norme di civiltà per l’integrazione

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di Luca Liverani 

Accuse strumentali. Argomenti allarmistici. Un polverone alzato in malafede per mischiare il tema dei diritti dei minori stranieri, che da anni vivono in Italia, coi problemi legati all’arrivo dei migranti forzati e dell’accoglienza.

C’è tutto questo, e altro ancora, nel dibattito in corso nel Paese sulla riforma della cittadinanza, al momento in stallo in Parlamento, spesso alimentato da forze politiche che hanno agito in modo più o meno dichiaratamente xenofobo. Un tema legato ad una sana integrazione per il quale il mondo cattolico italiano, dall’associazionismo agli organismi ecclesiali, si è speso con generosità.

Molti gli “argomentibufala” scagliati nella discussione per confondere le idee e seminare sospetto e allarme. Il primo su tutti è quello di un presunto “effetto-calamita”: la nuova norma attirerebbe in Italia frotte di donne straniere incinte, decise a partorire nel Belpaese per dare a figli la cittadinanza italiana.

Peccato che questo riconoscimento automatico non esista in nessun paese europeo, a differenza che nel continente americano. Il disegno di legge di riforma della cittadinanza disegna tutt’altro percorso, attraverso le due possibilità dello Ius soli temperato e dello Iusculturae. Cerchiamo di fare chiarezza. Lo Ius soli temperato prevede la cittadinanza ai nuovi nati solo se almeno uno dei genitori stranieri ha un permesso di soggiorno permanente o di lungo periodo, cioè di 5 anni.

Non basta: è richiesto anche un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, un alloggio idoneo, il superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Così si islamizza la popolazione italiana, grida qualcun altro. Vale la pena di sottolineare a chi agita questo spauracchio che la maggioranza dei nuovi italiani, due su tre, sarebbe di religione cristiana, come ha calcolato la Fondazione Leone Moressa su dati Istat e Miur. Più della metà degli stranieri in Italia è di religione cristiana, infatti: come gli est europei, i latinoamericani, i filippini. Una legge per portare voti ai partiti che sostengono la legge? Ne passeranno di anni prima che questi ragazzini neo-italiani raggiungano l’età del voto… Nel disegno di legge è previsto anche lo iusculturae: un bambino arrivato in Italia con i genitori stranieri può chiedere la cittadinanza italiana, dopo aver concluso con profitto un ciclo di studi di 5 anni, oppure un corso di formazione professionale di almeno tre anni.

Nessun automatismo e nessuna cittadinanza facile, come è evidente. Come ottiene oggi la cittadinanza italiana uno straniero? L’immigrato che voglia il passaporto italiano deve risiedere da almeno 10 anni in modo regolare – e senza interruzioni – in Italia. Una pratica lunga e burocratica che normalmente si conclude dopo diversi altri anni. In tutto tra i 12 e i 15 anni. Per i ragazzi è prevista la domanda solo al compimento dei 18 anni, ma entro e non oltre il 19 esimo. Altrimenti si rientra nella categoria dei 10 anni di residenza.

La norma attualmente in discussione riguarda oggi circa 800 mila ragazzi figli di immigrati, di cui 600 mila nelle scuole. Sono i compagni di banco dei nostri figli e nipoti, ragazzini che parlano italiano con l’accento delle nostre regioni, tifano per le squadre cittadine, si sentono italiani. Bambini e “Ius soli temperato” e “iusculturae” Norme di civiltà per l’integrazione adolescenti quasi sempre perfettamente inseriti nella vita del quartiere. Che si scontrano però con la loro condizione di permanenza in un limbo – non sono migranti ma nemmeno italiani – in occasioni banali come la gita scolastica all’estero, per loro vietata. O il torneo regionale di scacchi, come è successo a Ladispoli, in provincia di Roma, al quale non si sono potuti iscrivere due bambini perché la cittadinanza italiana è una condizione del regolamento della Federazione scacchistica italiana. Frustrazioni e umiliazioni che possono in ultima istanza anche rischiare di spingere questi stranieri di seconda generazione a crearsi da soli quell’identità culturale che gli viene negata dallo Stato in cui vivono.

Privi della motivazione forte di un progetto migratorio, che ha dato senso alle difficoltà vissute dai genitori, si sentono rifiutati dal Paese in cui vivono, studiano o lavorano. E alcuni di loro possono andarsi a cercare un’identità “fai da tè” lungo pericolosi cammini di radicalizzazione. Da tempo il mondo cattolico si è pronunciato a favore di questa riforma. Pochi giorni fa nella sua prima prolusione da presidente della Cei, il cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti ha auspicato che il processo di integrazione «possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e donne che sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé».

Un concetto ribadito dal segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che nella conferenza stampa seguita al termine del Consiglio episcopale permanente della Cei, a fine settembre, lo ha detto con chiarezza: «Non vedo perché si è ritenuto di accelerare sui diritti delle persone di uno stesso sesso che vogliono vivere insieme, ma non si ritiene di dare diritti e doveri a italiani mantenuti senza cittadinanza». Per il segretario generale della Cei, «parlare di ius soli – ha precisato il vescovo – significa, come ha detto il cardinale Bassetti “porre attenzione all’integrazione, che resta parola morta, parola sterile se non passa attraverso il riconoscimento della cittadinanza a coloro che sono nati in Italia, parlano la nostra lingua, assumono la nostra memoria storica e i valori che porta con sé. Su questi temi non si può derogare, ed è tutto quello che è previsto dalla legge”». Il segretario generale della Cei ha fatto notare come attorno al tema siano state «scaricate tante tensioni». «Lo Ius soli – ha detto – non riguarda chi oggi riesce a mettere piede sul suolo italiano.

La sua approvazione contribuisce a ridurre il popolo dei senza patria, e non per buonismo, ma a precise condizioni. Ci riferiamo a persone che hanno bisogno di dignità, in un contesto di diritti e doveri». E a proposito delle profughe che non di rado sbarcano in stato interessante, Galantino ha ricordato che «nella stragrande maggioranza quelle donne sono vittime di stupri nel lungo e travagliato percorso che le porta in Italia». Una posizione ribadita nei giorni scorsi dal cardinale filippino Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis, che si è appellato ai legislatori che si dichiarano cristiani: «Tutti coloro che credono, a maggior ragione se sono politici, come tali non possono chiudere le porte in faccia agli stranieri, ai migranti e ai rifugiati. Il mandato evangelico è chiaro, non ascoltarlo significa tradirlo. Condivido il punto di vista espresso dalla Caritas italiana: è una norma di civiltà che un Paese maturo deve fare sua».

Anche dalla Comunità di Sant’Egidio è arrivato un appello alle forze politiche «perché non strumentalizzino il dibattito in corso sulla legge. Trattare una materia così importante per il nostro Paese seguendo calcoli politico-elettorali, non fa bene a nessuno. Occorre guardare al futuro con fiducia – ha ribadito la Comunità di Sant’Egidio – e non chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Qui non si tratta di decidere l’ingresso di nuove persone sul nostro territorio, ma di riconoscere e dare dignità a chi lo abita da anni: minori già presenti in Italia perché vi sono nati e hanno frequentato le nostre scuole insieme ai figli degli italiani. Quindi uno Iusculturae che certifica e alimenta l’integrazione per migliaia di minori che si sentono già, a tutti gli effetti, nostri connazionali».

Sant’Egidio fu tra i primi a proporre una legge di riforma della cittadinanza nel lontano 2004: «In questi tempi difficili, segnati da gravi conflitti che coinvolgono il Mediterraneo e dal terrorismo, diventare italiani – se lo si è già di fatto – rende tutti noi più sicuri. Favorisce l’integrazione e incoraggia la crescita, anche economica, del nostro Paese dopo le recenti statistiche che parlano di un nuovo e preoccupante calo demografico in Italia».

L’approvazione di questo disegno di legge è da anni anche l’obiettivo della campagna “L’Italia sono anch’io”, un ampio cartello di associazioni, laiche e cattoliche, che nel 2012 raccolse e consegnò in Parlamento 110 mila firme di cittadini – oltre il doppio delle 50 mila necessarie per legge – per sostenere la presentazione in Parlamento di un disegno di legge di iniziativa popolare sul tema.

 

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