Per amarti sulla terra, o Dio, non ho che l'oggi

a cura di paolo (0 commenti)

Teresa di Lisieux è stata figlia del suo tempo. La sua famiglia era una delle tante famiglie borghesi, molto benestante: il padre, Luigi Martin, era orologiaio e aveva lucrosi investimenti, la madre, Zélie Guerin, amministrava un merlettificio. L’ambiente familiare era molto sereno, cattolico praticante.

Al padre piaceva la lettura anche di libri religiosi di un certo livello. Del suo tempo Teresa respira la cultura e la religiosità romantica affettata di sentimentalismo. Ma, come avremo modo di vedere, crescendo nell’età e nella fede ella saprà elaborarla in una maniera tutta sua, pur usando espressioni e simbologie di quella cultura.


1. Distacchi dolorosi
«Tutto mi sorrideva sulla terra, trovavo fiori sotto ogni passo e anche il mio carattere felice contribuiva a rendermi piacevole la vita» (Ms A 41). Teresa nasce nel nord della Francia, ad Alençon il 2 gennaio del 1873. È l’ultima dei nove figli che ebbero i coniugi Martin: Maria, spirito indipendente e originale nelle sue cose; Paolina, decisa e studiosa, è la più simile, anche fisicamente, alla mamma; Leonia, malaticcia e lenta; Celina, animo delicato, sarà la più vicina e la confidente più intima di Teresa; e altri quattro figli, due femmine e due maschi che morirono in tenera età. Quali erano le qualità di Teresa?

Fondamentalmente era una ragazza sensibile, emotiva, espansiva, volitiva, aveva un acuto senso di osservazione e buona memoria. Ma non è nata santa: ella è piuttosto impaziente e si lascia vincere dalla collera; è di una testardaggine pressoché invincibile; il difetto più grave è l’amor proprio. Prima di morire constaterà che il suo carattere è pieno di contrasti e tra l’altro scrive:

«Con una natura come la mia, se fossi stata educata da genitori senza virtù… sarei diventata molto cattiva e forse mi sarei perduta» (Ms A 31).
Anche se coccolata, molte volte il suo carattere sarà messo a dura prova.

La prima esperienza è l’incontro con la morte della mamma (tumore al seno), avvenuta il 28 agosto 1877. Teresa, anche se piccola, è toccata da questo distacco affettivo. Lei stessa riconosce: «A partire dalla morte della Mamma il mio carattere felice cambiò completamente; io così vivace, così espansiva, diventai timida e dolce, sensibile all’eccesso» (Ms A 45). Allora sceglie la sorella Paolina come madre (cf. Ms A 44). «È a partire da questo momento della mia vita che dovetti entrare nel secondo periodo della mia esistenza, il più doloroso dei tre… Questo periodo va dall’età di quattro anni e mezzo fino a i quattordici anni, momento in cui ritrovai il mio carattere di bambina entrando proprio nell’età seria della vita» (Ms A 45).


Dopo la morte della mamma, la famiglia Martin decide, su consiglio degli zii Guerin, di trasferirsi a Lisieux, dove risiedono gli stessi zii. La famiglia Martin si stabilisce, ai Buissonnets, una villa solitaria in periferia di Lisieux. La morte della signora Martin, comunque, ha segnato tutta la famiglia; essa sembra chiudersi in se stessa. Infatti limitano le visite, gli incontri… La sorella primogenita, Maria (diciassette anni), prende il governo della casa, aiutata da Paolina (sedici anni) che si dedica all’educazione delle sorelle minori, in particolare di Teresa.

A otto anni e mezzo Teresa va a scuola presso le benedettine a regime di semi-convitto. È molto diligente negli studi, è la prima della classe, ma ha un carattere chiuso, ha difficoltà a relazionarsi con le sue compagne di scuola. «I cinque anni che vi ho passati furono i più tristi della mia vita» (Ms A 74 -75).
Nell’ottobre del 1882 Paolina entra nel Carmelo di Lisieux, e prende il nome di sr. Agnese di Gesù. Per Teresa, che dopo la morte della mamma aveva scelto Paolina come mamma, questo è un altro distacco affettivo. Teresa, che ha nove anni, lo vive male, è per lei uno shock fortissimo che riapre la ferita antica, al punto da farla cadere gravemente malata (cf. Ms A 82). Teresa somatizza, l’angoscia con forti mal di testa, dolori al fianco e al cuore, anoressia, dorme male, piange, è colta da fremiti, da crisi motorie, vive stati di delirio, svenimenti…

Esce da questa situazione di nevrosi il giorno di Pentecoste del 13 maggio 1883 guardando il volto della statua della Vergine che le sembrò sorridere (cf. Ms A 94) e le dette sicurezza e coraggio. L’8 maggio del 1884 Teresa fa la prima comunione e il 14 giugno la cresima.
Nel maggio del 1885 Teresa è presa da scrupoli a causa di certa predicazione sul peccato, sulla morte e sul giudizio finale. Gli scrupoli, che la tormenteranno per diciassette mesi, diventano la sua seconda malattia. La sorella Maria l’aiuterà a superare questa crisi. Intanto Teresa vive un’altra separazione affettiva: Maria, la sorella maggiore che le aveva fatto da mamma, entra nel Carmelo di Lisieux il 15 ottobre del 1886 prendendo il nome di sr. Maria del S. Cuore. Anche questa separazione le procura sofferenze:

È troppo per l’adolescente, che viene così separata dalla sua terza madre. Teresa sta per compiere quattordici anni, ma è ancora ipersensibile, di debole volontà, piangendo di aver pianto, per cui lei stessa si chiede: «Non so come mi cullassi al dolce pensiero di entrare al Carmelo (questo desiderio lo coltivava da quando aveva 9 anni e mezzo), visto che ero ancora nelle fasce dell’infanzia» (Ms A 133).

 


2. La conversione
«In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello di tutti, il più colmo di grazie del Cielo» (Ms A 134). L’adolescente insicura conobbe quella che poi chiamò la sua «uscita dall’infanzia e la mia completa conversione» (Ms A 133), per un episodio apparentemente banale, la notte di Natale del 1886. Il prendere consapevolezza di una decisa evoluzione verso la maturità avvenne per alcune battute del padre, a lei legatissimo dal punto di vista affettivo, che rifletteva con una punta di amarezza sulla sua necessità, ormai tredicenne (quasi quattordicenne), di ricevere ancora i regali di Natale attraverso la pia menzogna delle scarpe nel camino.

Teresa accidentalmente sulle scale aveva ascoltato, non vista, simili considerazioni del papà. Ma rispetto alla crisi di pianto che la sorella Celina aveva temuto, ella si trovò istantaneamente cambiata, tanto da commentare più tardi, nei suoi ricordi, in questi termini tale episodio: «Teresa non era più la stessa, Gesù aveva cambiato il suo cuore!… Fortunatamente era una dolce realtà: la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d’animo che aveva perduto a quattro anni e mezzo, e l’avrebbe conservata per sempre!» (Ms A 133).


L’insicurezza che aveva segnato la sua fanciullezza a causa della morte della madre ad un tratto si risolse, aprendole il cammino di un’adolescenza seria ed impegnativa. Quella notte Teresa, alle soglie dei quattordici anni, aveva compreso che si può affrontare la vita senza paura anche se si è deboli e fragili, come il Dio bambino… Questa è la sua conversione che segnerà ormai tutta la sua vita. Da qui inizierà per lei una corsa da gigante. «Sentii la carità entrarmi nel cuore» (Ms A 134); da qui comprenderà che la sua vocazione è quella di condividere la sorte dei deboli, cioè dei peccatori: «Gesù… fece di me un pescatore d’anime, sentii un grande desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori» (Ms A 134).


Il segno concreto di questo suo grande desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori sarà l’interessamento per il caso Pranzini. Si trattava di un anarchico sospettato di omicidio, di cui Teresa aveva conosciuto l’esistenza attraverso la lettura a del giornale del papà, La Croix. Teresa, contro ogni logica corrente, anche religiosa, decise segretamente di adottarlo. Pregò, fece celebrare delle messe per lui.

Condannato a morte, prima di morire Pranzini chiese di baciare il Crocifisso. Il particolare fu riportato dai giornali, e questo per Teresa fu il segno che la sua intercessione era stata accolta (cf. Ms A 135-136). Da quel momento, «il mio desiderio di salvare anime crebbe giorno dopo giorno; mi pareva di udir Gesù che mi dicesse, come alla Samaritana: “Dammi da bere”» (Ms A 136). La giovane adolescente, appena uscita dalle strettoie di un’infanzia sofferta, si apriva ad un’ansia di evangelizzazione decisa ed anticonformista.

 


3. In attesa del Carmelo
Nel 1887 inizia così per Teresa la crescita verso la maturità umana e spirituale. Teresa coltiva sempre di più l’idea di entrare nel Carmelo di Lisieux a motivo – ci terrà più volte a precisarlo nell’autobiografia e nelle lettere – di Gesù, solo per Gesù, per poter amare come Lui.

E con la perseveranza di un’innamorata lotterà per entravi a 15 anni. Di fronte alle risposte deludenti, decide di parlare a Leone XIII nel pellegrinaggio che farà assieme al Padre e alla sorella Celina in Italia e a Roma (cf. Ms A 158). Questo viaggio (novembre 1887) inciderà notevolmente sulla sua vita, scopre la Svizzera, Firenze, Venezia, Roma. Ma soprattutto si apre alla vita esterna e scopre che i preti non sono angeli ma «degli uomini deboli e fragili» (Ms A 157) che hanno un grande bisogno di preghiera.

Comprende meglio quindi la vocazione al Carmelo. Ma lo scopo del suo viaggio è quello di chiedere al Papa di entrare in monastero a quindici anni. L’udienza di domenica 20 novembre è un fiasco, secondo Celina. Alle implorazioni di Teresa, Leone XIII risponde evasivamente. La giovane sarà espulsa in lacrime dalle guardie pontificie. Ormai non ha più che Gesù (cf. Ms A 174-175). Di ritorno a Lisieux, dopo una dolorosa attesa, riceve finalmente l’autorizzazione da parte del vescovo mons. Hugonin. Entrerà il 9 aprile del 1888.

 


4. Nel Carmelo di Lisieux
Il monastero di Lisieux, fondato nel 1838, è una comunità di ventisei monache dell’età media di quarantasette anni; donne diverse per temperamento, cultura (nessuna quasi aveva studiato), per spiritualità (per lo più devozionistica, permeata di rigorismo ascetico e di paura per il giudizio divino). Qui Teresa ritrova le due sorelle: Maria (sr Maria del S. Cuore) e Paolina (sr. Agnese di Gesù).

Teresa prenderà il nome di Teresa del Bambino Gesù, e più tardi, a motivo di un profondo cammino di fede, aggiungerà del Volto Santo. Durante i nove anni di vita monastica, Teresa scopre subito le difficoltà della vita comune riguardo alle relazioni interpersonali, messe a dura prova dalla differenza dei caratteri e dei modi di comportarsi nelle varie situazioni quotidiane. Per sua scelta, in numerose occasioni, ebbe per compagne di lavoro le sorelle più difficili.


Qualche giorno prima di entrare al Carmelo, nella sua ultima lettera dal mondo, in data 27 marzo 1888, Teresa scriveva alla sorella Madre Agnese: «Voglio farmi santa. L’altro giorno ho letto delle parole che mi piacciono molto, non ricordo più il santo che le ha dette. Erano queste: “Non sono perfetto, ma voglio diventarlo”» (L 45). Essa rivela una volontà non comune in una ragazza, poco più che adolescente.

Ma proprio in questa fondamentale determinazione, manifesta un certo volontarismo segnato da una vena di sofferenza che sarebbe stato necessario rivedere profondamente. Nei primi tempi Teresa coltiva l’idea di essere entrata al Carmelo perché: «voglio donare tutto a Gesù, non voglio dare alla creatura neppure un atomo del mio amore» (L 76), convinta del fatto che: «Non c’è che Gesù che è; tutto il resto non è» (L 96). Il “voglio” è uno dei suoi verbi preferiti per diversi anni. Così a Maria:

«Ebbene sì, voglio soffrire tutto ciò che piacerà a Gesù, lasciarlo fare tutto ciò che vuole della sua pallina» (L 79).


Ma, mentre si prodigava in tali considerazioni, già nel maggio del 1888 cominciava a fare l’esperienza del fatto che, ciò che al padre era presentato come il «dolce nido del Carmelo» (L 68), in realtà era un quotidiano in cui ella si percepiva come: «una piccola canna sperduta nel fondo della valle e tanto fragile che il minimo soffio la fa piegare» (L 49).

E, nell’ottobre del 1889, ad Agnese quasi con un’invocazione confidava: «Io soffro» (L 95). A questo si aggiunge, a pochi mesi dalla sua entrata al Carmelo, l’esperienza dell’aridità spirituale. Teresa non si ritrova nella preghiera della comunità, i ritiri spirituali non le dicono più nulla: «Nulla accanto a Gesù: Aridità!… sonno!… Ma almeno è silenzio… Il silenzio fa bene all’anima…

Ma le creature oh, le creature» (L 74). L’entusiasmo dei primi tempi si spegne. Cosa significa questa sua aridità spirituale? Forse non si ritrova in alcune pratiche devozionali? Non si sente in sintonia con una certa concezione di Dio giudice? L’unica guida che trova è la lettura e la meditazione della Parola di Dio.

 


5. Il volto velato del Padre
Non solo i problemi all’interno della comunità, ma anche quelli all’esterno le danno molto pensiero: in particolare la salute del padre. Il signor Luigi Martin, dopo la partenza di Teresa e dopo il desiderio espresso da Celina (aveva rifiutato due richieste di matrimonio) di entrare anch’essa nel Carmelo di Lisieux, vede andare in tilt il suo sistema nervoso: arteriosclerosi, smarrimento di memoria, desideri di fuga, semiparalisi sono le malattia che prostrano il povero papà. Egli è presente alla vestizione di Teresa al Carmelo (10 gennaio 1889), ma un mese dopo iI 12 febbraio 1889 viene ricoverato nell’istituto psichiatrico di Caen. Vi resterà fino al 10 maggio 1892. Qualche anno dopo Teresa scrive:

«La malattia del babbo… era la croce più grande che potessi immaginare» (L 155). Mentre a Celina, subito dopo il ricovero del padre scrive: «Gesù è uno sposo di sangue: Egli vuole per sé tutto il sangue del cuore» (L 82).


Qualche anno dopo, scrivendo i suoi ricordi Teresa dirà: «Non sapevo che il 12 febbraio, un mese dopo la mia vestizione, il nostro Babbo amato avrebbe bevuto alla coppa più amara e più umiliante. Ah quel giorno non ho detto che avrei potuto soffrire di più» (Ms A 206). Questi eventi psicologicamente frustanti (è la figlia di un uomo devastato, la “figlia del pazzo”) che umanamente avrebbero potuto soffocare una ragazza sedicenne in una crisi depressiva irreversibile, Teresa li assume in modo creativo, tanto è vero che sempre negli stessi ricordi scrive:

«Sì, i tre anni del martirio di papà mi sembrano i più amabili, i più fruttuosi di tutta la nostra vita, io non li darei per tutte le estasi e le rivelazioni dei Santi» (Ms A 206).


Teresa è come interpellata da questa tragedia. Ma riceve luce dalla Parola di Dio soprattutto da Is. 53 (quarto canto del Servo del Signore) che in quel periodo medita, scopre che il Volto nascosto è il Santo Volto di Gesù suo Sposo. Alla sorella Celina il 18 luglio 1890 scrive: «Ti mando un foglio , che ha detto tante cose alla mia anima. […] Celina, sono trascorsi tanti secoli… e già allora l’anima del profeta Isaia s’immergeva come la nostra nelle bellezze nascoste di Gesù. […] “Il suo volto era come nascosto”!… Celina lo è ancora oggi. […]

Il Papà!… Ah! Celina, non posso dirti tutto quello che mi passa per la mente. [,..] Gesù ci ha inviato la croce più raffinata che potesse escogitare nel suo immenso amore… Come lamentarsi quando lui stesso è stato considerato come un uomo colpito da Dio e umiliato?» (L 108).


Il volto sofferente di Gesù, che dagli uomini viene considerato volto colpito e umiliato, è invece epifania del suo amore, della sua vita donata. Lo Sposo è colui che perde la faccia per amore e per questo è luminoso, è bello: «Sì il Volto di Gesù è luminoso, ma se, in mezzo alle ferite e alle lacrime, è già così bello, che sarà dunque quando lo vedremo in cielo?» (L 95). Questa intuizione fa trasalire Teresa e le consente di intraprendere non la via della disperazione ma la via terapeutica della guarigione/consolazione:

«Consolò le mie lacrime il tuo sguardo velato» (P 24,24) canterà più tardi, con riconoscenza Teresa. Isaia 53 è come una chiave di volta che le fa capire che la prova del padre, il volto velato del padre non è altro che specchio di un altro volto, pazzo per amore, è specchio del volto velato di Cristo, e, quindi, il padre, anche nella umiliazione, è già partecipe della bellezza e della luminosità del volto di Cristo.

Proprio l’evento della malattia del padre, iniziato sotto il segno dell’umiliazione più imprevista e sorprendente, in un certo senso, poco per volta, le offre una chiave altrettanto inimmaginabile che le consente di scoprire il mistero della follia di un Dio che ha voluto amare nella gratuità la creatura umana. Questa chiave fa svanire la via della conquista e le fa intravedere quella dell’abbandono.

 


6. La via dell’abbandono nelle mani di Dio
Problemi interni ed esterni alla comunità, aridità spirituale, il ritardo della sua professione: tutto questo Teresa valuta come una prova in cui Gesù è al lavoro per «staccarla da tutto ciò che non è Lui» (L 78).

Ma la vita monastica non è solo per lei motivo di sofferenza, è anche luogo di maturazione del suo cammino di fede che ella centra tutto sull’Amore e non sul timore, sulla fiducia in Colui che ci ama e non sul rigorismo ascetico e sulle pratiche devozionali. Nel 1891, in un momento di prova interiore «fino a chiedermi talvolta se c’era un cielo» (Ms A 227), ella, sotto l’influenza di p. Prou, che quell’anno predica gli esercizi spirituali alla comunità, viene «lanciata sulle onde della fiducia e dell’amore che mi attiravano così fortemente, ma sulle quali non osavo andare avanti» (Ms A 227).

Gesù la illumina e la guida, soprattutto, attraverso il suo Vangelo, pane quotidiano di Teresa: «è soprattutto il Vangelo che mi intrattiene durante le orazioni, in esso trovo tutto ciò che è necessario, alla mia povera piccola anima. Vi scopro sempre nuove luci, significati nascosti e misteriosi». (Ms A 236).
Teresa si nutre quotidianamente del Vangelo, ma non ha la possibilità di familiarizzare con tutta la Bibbia.

Solo nel settembre del 1894, quando la sorella Celina entra al Carmelo e porta con sé un quaderno (Taccuino di Celina) dove ha trascritto vari brani dell’AT, di cui Teresa può disporre, trova in essi, soprattutto in Pr 9,4 e in Is 66,13-12, sprazzi di luce che le consentono di fare ancora un salto qualitativo in ordine alla confidenza nella misericordia di Dio e alla gratuità della salvezza.

Questi testi biblici sono stati così determinanti per Teresa che li cita più volte nei suoi scritti e soprattutto li sottolinea all’inizio del Ms C, ponendoli a fondamento della sua piccola via.


Teresa, maturata nella fede, conserva la consapevolezza della propria debolezza, ma avverte la presenza misericordiosa dell’Amato nella sua vita come realtà creatrice come presenza che chiama all’esistenza ciò che ancora non è e conferisce alla creatura generata forze che essa è ben lontana dal possedere. Ella sa di essere coinvolta in una vicenda di cui il Signore Gesù è il protagonista.

È Lui che scende nella sua vita, così come è, e la coinvolge nel suo abbraccio, la coinvolge a vivere del suo respiro. Concedersi all’abbraccio, consentire che il respiro di colui che la abita affiori come amore nel frammento della sua vita, Teresa lo sa, richiede impegno, combattimento. Ma lei ha compreso che il primo combattimento è contro l’ipocrisia religiosa che vuole affermare la propria grandezza al posto di quella di Dio.

Ecco perché lotta contro qualsiasi sforzo ascetico che non abbia per meta Dio, ma la propria perfezione e che perciò è soltanto una cura di bellezza spirituale, che continuamente e ansiosamente misura, conta, calcola e contempla la propria perfezione e distogliendo lo sguardo da Dio lo concentra sul proprio io, sotto pretesto di sensibilità di coscienza e perfino di umiltà. Teresa non riesce ad accettare questa prospettiva. Ai suoi desideri d’infinito ripugna questa mediocre contabilità.

 


7. «Alla sera della vita comparirò davanti a te a mani vuote»
Espressione piena di questa docilità a una presenza che salva e di questo abbandono confidente nelle mani dell’Amato, è l’atto di offerta all’Amore misericordioso di Dio composto e pregato da Teresa il 9 giugno 1895, festa della Trinità. In questa densissima preghiera Teresa ribadisce il desiderio di essere santa, ma evidenzia anche la consapevolezza della propria debolezza:

«Desidero essere Santa, ma sento la mia impotenza e ti domando, o mio Dio, di essere tu stesso la mia Santità! […]. Se qualche volta cado per mia debolezza il tuo Sguardo Divino purifichi subito la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni, come il fuoco che trasforma ogni cosa in se stesso […].

Dopo l’esilio della terra, spero di venire a goderti nella Patria; ma non voglio ammassare meriti per il Cielo, voglio lavorare per il tuo solo Amore, con l’unico scopo di farti piacere, di consolare il tuo Sacro Cuore e di salvare anime che ti ameranno eternamente. […] Alla sera di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo Signore di contare le mie opere.

Ogni nostra giustizia è imperfetta ai tuoi occhi. Voglio dunque rivestirmi della tua propria Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di te stesso. Non voglio altro Trono e altra corona che te, o mio Amato» (Pr 6).


E la sua vita si conclude partecipando all’evento della croce dell’Amato. È provata nel corpo dalla tubercolosi che le procura dolori strazianti e la porterà alla morte a soli ventiquattro anni. Ma è provata anche nello spirito, Teresa come Gesù vive il dramma del silenzio di Dio, mentre è assalita dalle tenebre, che assumendo forma di figure umane con sorprendente prosopopea le gridano:

«Tu sogni la luce, una patria dai profumi più soavi, tu sogni di possedere eternamente il Creatore di tutte queste meraviglie, credi uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano. Vai avanti! Rallegrati della morte che ti darà non già ciò che speri, ma una notte ancora più profonda, la notte del nulla» (Mc 278).


Teresa vive, comunque, questa situazione dolorosa con serenità, lei stessa testimonia: «Nonostante questa prova che mi toglie ogni godimento, posso esclamare: “Signore mi colmate di gioia con tutto quello che fate” (Sal 91)» (Ms C 279). Qual è il motivo di questa gioia? Teresa pensa che se Gesù le ha fatto vedere la realtà dell’incredulità e l’ha fatta perfino partecipare della notte dell’incredulità, è perché essa rovesci la situazione: perché viva quello stato di tenebre per i non-credenti stessi.

È la gioia di non vivere la gioia della fede, perché quegli altri, i non credenti che non conoscono tale gioia, la raggiungano: «Gli dico che sono felice di non godere di quel bel Cielo sulla terra affinché Egli lo apra per l’eternità ai poveri increduli» (Ms C 279).


Vorrei dire che, al contrario di quanto una sensibilità ancora troppo radicata nella propria autogratificazione si potrebbe attendere, Teresa ci ricorda che l’incontro sponsale qui sulla terra tra Dio e la creatura si consuma in un superamento continuo di attese solo umane, si dispiega in una esperienza teologale che è insieme povertà radicale, vuoto vertiginoso e comunione sempre più profonda con l’Amore trasformante che chiede di agire nella storia attraverso un nostro libero sì, anche quando questa storia è notte del niente, valle tenebrosa.


P. Alberto Neglia
Mercoledì della spiritualità 2023 della Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

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