Oltre i pregiudizi e le polemiche La verità sulla “Amorislaetitia”

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Di Pier Giorgio Liverani (tratto dalla rivista Regina degli Apostoli)
 

A un anno e mezzo dalla pubblicazione dell’Esortazione apostolica “Amorislaetitia sull’amore nella famiglia”, papa Francesco ha creato un nuovo “Istituto di studi teologici sulla famiglia” per superare “pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato”.

Il nuovo organismo, che dovrà sostituire il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia, si chiama “Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia” e deve elaborare nuove linee teologiche, sulla base di un assetto giuridico e pastorale in linea con quanto il Papa ha scritto nella sua Esortazione apostolica.

È lecito dedurne che l’Istituto aiuterà ad applicare l’“Amorislaetitia secondo il suo contenuto” e superando le polemiche che, dopo i due Sinodi, sono nate a causa di una lettura pregiudiziale fatta, anche all’interno della Chiesa, e a livello di alcuni Vescovi. Il responsabile del nuovo Istituto è, almeno per ora, lo stesso vescovo Vincenzo Paglia che guidava l’organismo precedente. Mi sembra perciò utile proporre alcune considerazioni che possano smontare le affermazioni polemiche appena ricordate di chi ha letto con un pregiudizio l’importante documento pastorale di Francesco.

Nel motu proprio “Summa familiae cura”, che è la base del nuovo Istituto, e senza tirare direttamente in ballo la sua esortazione, il Pontefice ne ribadisce la piena correttezza rispetto alla dottrina della fede e afferma che a quest’ultima occorre «un approccio analitico e diversificato» e guardare «con saggio realismo alla realtà della famiglia oggi in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre». Dunque occorre esplorare strade nuove anche dal punto di vista della teologia e soprattutto sotto il profilo della pastorale, che mancavano al vecchio Istituto7 non più in grado di rispondere ai problemi familiari di oggi.

Veniamo alla Amorislaetitia. Il titolo del suo discusso capitolo ottavo dice in un modo molto significativo: «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità», cosa che non si può fare collettivamente. Di queste quattro parole soltanto l’ultima – la “fragilità” – può essere utilmente indirizzata anche a più persone. Ma poiché questa debolezza è riferibile a moltissimi fedeli, ciascuno dei tre verbi che la precedono debbono invece essere rivolti in modo diversificato a ogni singola persona.

Questo indirizzo personale e non moltitudinale delle parole del Papa è facilmente constatabile anche nei discorsi, nei messaggi e nei documenti di questo Pontefice e tanto più lo è nella Esortazione e maggiormente nel suo ottavo capitolo. Si può dire che fino a ieri la pastorale della Chiesa era rivolta a tutte insieme le cento pecore del gregge senza accorgersi della centesima, anzi delle molte “centesime” scappate dall’ovile.

Oggi, invece, il Pastore va a cercare proprio ciascuna di queste, della cui fuga occorre discernere motivi e modalità per accompagnarla a tornare all’ovile del Padre e riunirsi alle altre novantanove e integrare con un contributo di esperienza personale la fragilità delle fuggitive vogliose di far da sole ciò che va fatto in comunicazione e comunione con le altre nel recinto.

Oltre i pregiudizi e le polemiche La verità sulla “Amorislaetitia”.
Dirò anche quello che segue in modo un po’ brutale – e ne chiedo subito venia – solo per capirci meglio tra lettori e autore, ma anche per il timore di violare il valore delle consuetudini o di provocare involontariamente ribellione o involontarie eresie o semplicemente il rifiuto di accogliere ciò che viene proposto o presentato.

Vorrei evitare altri attacchi e accuse, altri interrogativi imputati a Francesco da fedeli di buona volontà e da ministri cosiddetti “tradizionalisti”, ma certamente sconcertanti che lamentano modernismo e scarsa coincidenza alla dottrina della Chiesa, anche se i punti in questione dell’ottavo capitolo sono da sempre affermati nel Vangelo (§§ 294 e altri), da un Santo papa come Giovanni Paolo II (§§ 298, 301 e altri) e, in precedenza, Dottori della Chiesa come Agostino (§ 287) e Tommaso d’Aquino (§§ 301 e 305) e il Catechismo della Chiesa Cattolica (§ 302).

La pastorale considerata anche ora prevalentemente come collettiva, cioè diretta alla comunità cristiana e quindi uguale per tutti coloro che ne fanno parte è diretta soprattutto alla comunicazione dei contenuti, delle regole, delle loro finalità e conseguenze, delle pene per chi non le rispetta e dunque degli effetti dell’errore per il peccatore, ma assai poco prendendo in considerazione la eventuale sua ignoranza, i suoi perché e percome della colpa che poteva essere, per esempio, veniale ma passa per mortale e viceversa, secondo le caratteristiche, l’esperienza, le situazioni e la condizione dell’errante.

Si potrebbe dire che l’applicazione riguarda quasi sempre il peccato e il grado della colpa del peccatore, senza tenere molto conto di quelli che si potrebbero definire le modalità, gli effetti e la sua conoscenza della dottrina. In questo campo Papa Francesco sta portando una importante e logica novità, che non è, ovviamente, l’abolizione della norma né la declassazione del suo valore e della sua pena, ma innanzitutto la sua applicazione sulla singola persona e i suoi effetti che tuttora sembrano essere uguali per tutti (“si” o “no”): legge, violazione, esame della colpa, pena.

Non c’è dubbio, però, che nel campo della fede la differenza tra le singole persone è notevole. Scrive San Paolo che «Dio ci ha reso ministri adatti di una Nuova Alleanza non della lettera, ma dello Spirito: perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita» (2Cor 3,6). E ai Galati spiega che «Dio mandò il suo Figlio nato da Donna e nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge» (4,4). Ancora, dal Vangelo di Marco sappiamo che Gesù insegna che «il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato» (2,23-28), mentre Luca e Matteo ricordano nei loro Vangeli che Davide, d’accordo con il sacerdote Ahimelek, fece mangiare ai suoi uomini esausti e affamati gli intoccabili «pani della Proposizione» o «della presenza» che erano severamente riservati ai sacerdoti del Tempio (6,1-5 e 12,2-4).

Oggi papa Francesco rinnova insieme la comunicazione e la pastorale, mettendo davanti a tutto l’uomo al quale entrambe sono indirizzate. Alla singola persona la legge va applicata gradualmente e senza violarla. Soltanto dopo avere in tutta chiarezza esposto la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia, l’Esortazione Apostolica affronta il problema della sua applicazione a chi si trova in “situazioni non regolari” o di ignoranza o di impossibilità. «Ai Pastori – è scritto nella RelatioSynodi – compete il discernimento pastorale delle situazione di tanti che non vivono più la realtà» del matrimonio cristiano, ma non l’hanno fatto in suo spregio, o che ne vivono la nostalgia o che hanno agito in condizioni di sostanziale ignoranza o perché senza la possibilità economica di realizzarla o non sono nelle condizioni intellettuali di comprenderne tutto il valore… Il Pastore deve conoscere «le condizioni soggettive o di coscienza» degli “sposi irregolari” e tutti i «connessi problemi delle diverse situazioni non regolari», perché Dio ama anche chi è nel peccato, veniale o mortale che sia.

La sua Grazia è sempre pronta ad agire a favore di chi le vive e, come accade in tante realtà, c’è un desiderio sincero, potremmo dire un bisogno di tornare a vivere i sacramenti, l’Eucaristia in primo luogo. Un bisogno, che può essere suggerito o provocato, di tornare alla partecipazione alla vita della Chiesa. E soprattutto la considerazione che anche chi si trovi nella condizione di peccato mortale fa ancora parte della Chiesa, non è uno scomunicato e, se non può accedere all’Eucaristia, non per questo è gettato fuori della porta, ma può partecipare a molti momenti o aspetti della vita della comunità parrocchiale: per esempio il Consiglio pastorale o quello economico, l’organizzazione di alcune attività e, in ogni caso, la presenza alle celebrazioni liturgiche.

A chiusura di queste considerazioni va ricordato che in nessuna pagina della Amorislaetitia esiste un’affermazione diretta o indiretta che sia possibile consentire la partecipazione dei divorziati all’Eucaristia, mentre costoro sono esplicitamente invitati a essere parte viva della comunità parrocchiale, perché la grazia di Dio non dimentica che anche chi vive nel peccato è sempre figlio di Dio e tale si sente.

 

 

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