IV Domenica di Avvento

a cura di paolo (0 commenti)

La beatitudine proclamata da Elisabetta
di Fulvia Sieni Monastero agostiniano Santi Quattro Coronati.

La prima beatitudine del Vangelo, l’evangelista Luca la fa proclamare per bocca di una donna, Elisabetta, la parente di Maria che nella sua vecchiaia diventa segno della totale possibilità di Dio di agire nella storia (cf Lc 1, 37): «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 45). «Il cristiano è un beato – ricorda Papa Francesco – ha in sé la gioia del Vangelo.

Per essere “beati”, per gustare la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto» (Francesco, Convegno Nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015).

Il cuore aperto di Maria le permette dunque di essere portatrice, anche per noi, di questa beatitudine, la cui eco ascolteremo spesso nella predicazione di Gesù quando, rivolgendosi ai suoi discepoli, a noi, dirà «beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11, 28) e altrove «beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano» (Mt 13, 16). Ci è annunciata una condizione di beatitudine ovvero di felicità, di benedizione e quindi di fecondità nella postura di chi ascolta la Parola, la accoglie, apre la porta della propria casa e la lascia entrare.

È il medesimo annuncio che ci viene rivolto dal Libro dell’Apocalisse e promette la comunione con Dio: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).

con Elisabetta “a cosa dobbiamo che la Madre del Signore venga a noi?

A cosa dobbiamo la venuta in mezzo a noi del Signore nostro Dio?”;

a nulla, è totalmente dono, è pura grazia e gratuità.

Il tempo di Avvento ci ha condotto fino a questa quarta domenica, alle soglie del Natale del Signore, tentando di distoglierci finalmente dal nostro egocentrismo narcisista che ci vuole sempre protagonista della scena: è invece Lui il Veniente, è Lui - come ci fanno cantare le solenni antifone “O” nella Novena di Natale - che libera, che salva, che apre le porte del Regno dei Cieli; non siamo noi a raggiungerlo, ma è Lui, il Re, che viene a visitare il suo popolo (Lc 1, 68).

Il racconto dell’episodio della Visitazione di Maria ad Elisabetta parla proprio di questo: facendoci contemplare la fretta di Maria ci mette dentro un lieto dinamismo. Il termine greco che Luca utilizza per descrivere ciò che muove Maria, spoudē, evoca lo slancio entusiasta del cuore, la dedizione nella cura, la sollecitudine nella quale possiamo riconoscere l’agire di Dio verso di noi, il suo desiderio ardente di abitare in mezzo a noi (cfGv 1, 14). Lasciamo che questa Parola ci raggiunga e ci apra al Natale. Colui che viene non è solo il Bambino nato a Betlemme ma è il Signore, il Re, il Crocifisso Risorto.

I doni dei santi Magi — l’incenso, l’oro e la mirra — che lo descriveranno così, sono l’orizzonte verso il quale questo tempo di Avvento ci proietta: una fede adulta che sa, come quella di Elisa-betta, riconoscere, nel bambino che verrà deposto in una mangiatoia, il Signore.

Torna indietro