Il linguaggio di Papa Francesco si fa vicino alle persone

a cura di paolo (0 commenti)

La parola “vangelo” rimanda alla buona novella che è stata annunciata e di cui si sente il bisogno di continuare a parlare. Nella lingua utilizzata per scrivere l’Evangelii gaudium, Papa Francesco sembra in più momenti aver conservato le caratteristiche di un parlato che ridice e di nuovo spiega il messaggio cristiano ai fedeli. È quanto emerge dall’analisi del testo della sua prima esortazione apostolica che Daniele D’Aguanno, linguista all’Università di Napoli L’Orientale, ha fatto per Treccani.

Come quando si parla, le affermazioni sono sovente dispiegate in una breve serie di frasi o parole, in un susseguirsi di precisazioni, chiarimenti e moltiplicazioni del suo significato. Ecco un esempio di questi riverberi di prime espressioni, diversi per tipo e quantità: «È vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura». Il lettore tende così a riconoscere un flusso spontaneo come in un’orazione.

Proponendo costruzioni sintattiche non formali, il linguaggio del pontefice si avvicina a quella prosa manzoniana dove il celebre scrittore imita consapevolmente il parlato. Ad esempio, il costrutto «Chi rischia, il Signore non lo delude, accada quel che accada» è formato da una prima frase che resta quasi in sospeso, per essere subito seguita da un’altra che la completa. Anche le esortazioni proferite con un noi inclusivo sono tracce di una voce che vuole farsi ascoltare da vicino: «Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa!». Questo stile colloquiale si rifà anche alla madrelingua rioplatense del Papa. La posizione di certi avverbi, infatti, è di derivazione ispanica: «Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia».

Questa spontaneità è inserita in uno sviluppo sintattico alquanto piano, funzionale a un testo che vuole essere di facile comprensione. L’Evangelii gaudium è costituita prevalentemente da brevi paragrafi con frasi semplici giustapposte e inframmezzate da citazioni, soprattutto bibliche e patristiche. Quando l’argomentazione si fa più ampia, le frasi sono rese un poco più complesse dall’aggiunta di una coordinata o dall’inclusione di una o più brevi subordinate: «Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza ed evita di non tenere conto dei limiti. Fedele al dono del Signore, sa anche “fruttificare”. La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda».

In questa sintassi piana, ad accendere la voce sono le esclamazioni, ad esempio «Il denaro deve servire e non governare!», e l’espressività del lessico, come con «meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante» o «globalizzazione dell’indifferenza». Alcuni nomi e aggettivi, poi, sono usati in modo inconsueto. La variante «inequità», scritta con la “e”, sembra scelta per mettere in evidenza la contrapposizione con “equità”, mentre «tenerezza combattiva» accosta termini in modo espressivo. Questa lingua legata alla quotidianità, che nasconde l’oratore e favorisce l’orazione, serve a rendere immediatamente comprensibile il messaggio.

L’evangelizzatore che non dovrebbe avere una «faccia da funerale», la Chiesa che lascia sempre aperte le porte perché non è «una dogana» o la preghiera che è «un polmone» sono espressioni che fanno avvicinare il lettore, anche quando Papa Francesco usa l’ironia: la «carità à la carte» è quella di chi cerca una comoda pietà.

(Tratto da RETE SICOMORO, 24 FEBBRAIO 2021)

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