1a domenica di Avvento

a cura di paolo (0 commenti)

Da “L’infinita pazienza di ricominciare” di Ermes Ronchi, ed. Romena

Vivere è l’infinita pazienza di ricominciare. E quando sbagli strada, ripartire da capo. E là dove ti eri seduto, rialzarti. Salpare ad ogni alba verso isole intatte. Ma non per giorni che siano fotocopia di altri giorni, bensì per giorni risorti, passati al crogiolo di amore, festa e dolore che è la vita, e restituiti un po’ più puri e più leggeri. E poi utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza.

Le parole più caratteristiche della mia fede cominciano tutte con un prefisso:” ri”, due sole lettere per dire “da capo”, “ancora”, “di nuovo”, “un’altra volta”. Sono le parole rinascita, riconciliazione, risurrezione, rimettere il debito, rinnovamento, religione, redenzione. È quella sillaba “ ri” che dice:” non ti devi arrendere, c’è un sogno di cui non ti è concesso stancarti”.

Perché anche i sogni, se riposti nel cassetto possono ammuffire, i sogni vanno seminati e vissuti.

Nella prima lettura, il profeta Isaia, che non teme il suo Signore e parla con parole che sono una supplica d’amore verso un Dio che sente innamorato. Crede nella forza della preghiera ma soprattutto nella grandezza di un Dio e Signore che ascolta, un Signore capace di tenerezza e di amore.

Iniziamo la nostra Eucarestia con un gesto di conversione; abbracciamo ora e poi fuori di chiesa, chiunque incrocia oggi e nei giorni a venire la nostra vita. Abbracciamoli non perché necessariamente se lo meritano, ma perché ne hanno bisogno. Esattamente come fa Dio con ciascuno di noi.

La solitudine più amara non è quando nessuno ti aspetta, ma quando tu non aspetti più nessuno, quando torni a casa e non accendi neppure la luce, tanto nessuno verrà, non accendi il fuoco tanto nessuno cenerà con te, non ti rifai neppure il letto tanto dormirai in solitudine e non avrai che sogni di rimpianti ad agitarti il cuore.

L’avvento viene a contestarci tutto questo; è una parola che significa avvicinarsi, farsi vicino. L’avvento ci insegna che cosa fare : andare incontro.

Il vangelo ci dice come farlo: vegliare con attenzione.

Ancora una volta il vangelo ci parla di un Signore che ci affida i suoi beni e poi se ne va. Dio che affida all’umanità ciò che è più suo. Gesù ci parla più volte di questo “fidarsi di Dio”, l’avvento viene a dirci che il primo atto di fede non è il nostro credere in Dio; ma è la scoperta che è Dio a credere in noi, in ognuno di noi.

Dio si fa da parte, non ci occupa né il cuore e neppure la strada; si fida di questa nostra umanità e ci affida il mondo. L’umanità da parte sua è investita di questa enorme responsabilità. Umanità non come concetto astratto ma come comunione di volti tra cui c’è il mio e il tuo, c’è il nostro e il vostro.

L’avvento viene a dirci di piantarla con questo lamento continuo perché il mondo va male, certo che il mondo può e deve andare meglio, ma bisogna avere il coraggio e la dignità di levare lo sguardo, di rimboccarci le maniche e di fare ciascuno onestamente la nostra parte, di impegno e di lotta se necessario, e di farla possibilmente bene, con dignitosa serietà e competenza. 

In gioco non c’è tanto la gloria o il prestigio di Dio ma la felicità o l’infelicità del mio prossimo, una vita bella e dignitosa o una vita umiliata, ferita, calpestata, compresa quella del prossimo che più amo.

A noi è affidata la custodia, la cura amorevole del creato, degli uomini con il loro bisogno di cibo, di salute, di libertà, di dignità riconosciuta, di amore, di cultura; e della natura difendendola da tutti i crimini ambientali che la stanno uccidendo. Questo Dio lo ha affidato a noi.

Non possiamo delegare niente a Dio perché il Signore ha affidato tutto alla sapienza dei nostri cuori, delle nostre menti e delle nostre mani. Comprendiamo allora perché dobbiamo stare attenti e vegliare. E fare attenzione. Attenzione vuol dire tensione a, tendere verso: perché il segreto profondo della nostra vita è al di là di noi; è in LUI.

Vigilare e attendere come impegno serio perché i dimenticati siano riaccolti e i crocifissi e i calpestati di cui ogni giorno veniamo a conoscenza, siano finalmente liberati. Non ci è lecito essere distratti, peggio ancora, indifferenti.

Tutti sappiamo cosa vuol dire vivere una vita distratta e quanto male ci fa avere a che fare con persone distratte e indifferenti. Persone che ci incontrano in maniera superficiale, incapaci perfino di guardarci negli occhi mentre ci parlano, che ci dicono:” ho capito” mentre in realtà neppure ci hanno ascoltato.

Ecco l’invito di questo tempo a fare attenzione alle persone con cui entriamo in relazione.

Sia allora il nostro vivere l’AVVENTO, il tempo in cui guardiamo con più attenzione alla nostra vita e al nostro vivere. Torniamo ad innamorarci della vita, nostra e altrui. Soprattutto torniamo ad avere fame nel cuore e sete negli occhi, torniamo a nutrirci del Pane di vita e della Parola che si fa Carne. Torniamo a vivere dignitosamente il Vangelo che ci è stato annunciato.

Ci sia davvero bellezza nel nostro vivere, perché la nostra vita diventi pienezza per noi e benedizione per chi ci vive accanto. Questo non allungherà la nostra vita e neppure ci esenterà dalla fatica di ogni giorno ma riaccenderà in noi il gusto della vigilanza e dell’attesa, sentendo che qualcosa di bello sta avvenendo e Qualcuno dall’alto ci sta venendo incontro.

 

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