Atto di Impegno Apostolico di 7 fratelli
a cura di paolo (0 commenti)

Con la giornata odierna è iniziato il cammino di formazione permanente dell’Unione in Italia.
La giornata di spiritualità si è tenuta ad Ostia Lido presso la Parrocchia Regina Pacis. Ad animare la giornata c’è stato Padre Daniel Rocchetti, SAC che ha parlato delle due dimensioni della Speranza: uno orizzontale ed uno verticale.
La sua catechesi la riportiamo in allegato in modo tale che tutti possono meditarla ed attingere energia spirituale.
A seguire c’è stata la Celebrazione Eucaristica durante la quale c’è stato l’Atto di Impegno Apostolico di : Don Luciano Alimandi, Luigi Fanelli, Giovanni Caldieri, Alfredo Gatto, Maria D’Ambrosio, Stefania Sampieri e Teresa Vincenza Caruso
E’ stato un momento molto commovente e di intensa preghiera.
Sette fratelli che portano una ventata nuova nell’Unione italiana. Sono stati preparati da Sr Silvana e da Don Luciano.
Anche durante il pranzo c’è stata tanta comunione e tanta attenzione reciproca. Una torta a loro dedicata ha addolcito tutti, come pure lo ha fatto la condivisione del pomeriggio dove ciascuno ha potuto esprimere i propri sentimenti.
“Camminare con speranza nello spirito di San Vincenzo e del suo carisma”
Introduzione
Cari confratelli e consorelle pallottini, Pace e Speranza!
In primo luogo, desidero esprimere la mia sincera gratitudine al Dio, Amore Infinito, dal profondo del mio cuore, per avermi concesso la grazia della vocazione pallottina. Oggi, dopo molti anni, non riesco a immaginare di essere altro se non un pallottino.
In secondo luogo, desidero ringraziare per l’invito a essere qui con voi: un sentito grazie ad Anna per questa opportunità, che mi consente di essere con voi un compagno di cammino in questo percorso di essere Chiesa, ispirato dall’esempio di Pallotti.
La mia riflessione trae ispirazione dal grande Giubileo del 2025, durante il quale siamo chiamati a essere testimoni e missionari di Speranza. Ritengo che dobbiamo essere più di semplici pellegrini di Speranza; dobbiamo essere testimoni e missionari!
Pertanto, il tema della Speranza, proposto dal Santo Padre per l’intera Chiesa, risuona all’interno della nostra famiglia, spingendoci a esplorare ciò che Pallotti ha detto riguardo a questo stesso tema.
La mia proposta, quindi, è di avvicinarci ad alcuni pensieri del Fondatore sulla Speranza. Ho anche invitato un altro grande personaggio a unirsi a noi: Benedetto XVI, che sarà presente in questo incontro.
La nostra riflessione si articolerà in tre parti: le prime due ci avvicineranno al pensiero di Pallotti, mentre la terza si concentrerà sul pensiero di Benedetto XVI.
Iniziamo.
"Finché si vive, c'è speranza": la dimensione esistenziale della Speranza
Se oggi dobbiamo parlare di Speranza, è d’obbligo fare riferimento a uno scrittore francese di nome Charles Péguy che, tra testi e poesia, ha reso questa caratteristica umana molto presente in tutte le sue opere.
Non sono uno specialista di questo scrittore, ma sono un suo lettore. Ho voluto iniziare la nostra giornata avvalendomi di un testo che non era il mio, ma quello di Antonio Socci, un importante giornalista italiano che ha scritto della Speranza in Charles Péguy. Cito:
“Le devastazioni della ‘guerra dei cent’anni’ sono immense come la desolazione della Giovanna d’Arco di Charles Péguy. Le sue parole (nel Mistero della carità di Giovanna d’Arco) traboccano della disperazione di tutte le guerre e di tutte le distruzioni: «Tutti i nostri sforzi sono vani. La guerra è la più forte a fare la sofferenza». La ragazza - che ancora è solo una pastorella sconosciuta - sembra annichilita dalla sproporzione: «Non occorre che un acciarino per bruciare una fattoria. Occorrono, sono occorsi degli anni per costruirla... Ci vogliono mesi e mesi, c’è voluto lavoro e ancora lavoro per far crescere una messe. E non ci vuole che un acciarino per dar fuoco a una messe. Ci vogliono anni e anni per far crescere un uomo, c’è voluto pane e ancora pane per nutrirlo, e lavoro e lavori di ogni genere. E basta un colpo per uccidere un uomo...».
Poi – amaramente – constata: «Noi saremo sempre i meno forti. Andremo sempre meno veloci... Noi siamo il partito di quelli che costruiscono. Loro sono il partito di quelli che demoliscono. Noi siamo il partito dell’aratro. Loro sono il partito della sciabola. Noi saremo sempre battuti. Loro avranno sempre la meglio su di noi». Sono le desolate parole che Péguy fa dire alla ragazza. Eppure proprio lei, di lì a poco, sarà chiamata da Dio: lascerà la campagna, salirà su un cavallo e – senza uccidere – risolleverà il suo popolo guidandolo alla liberazione. Una strepitosa storia di santità (conclusa dal rogo su cui verrà arsa la giovane martire).
Ogni epoca ha quei “due partiti”: il partito di chi lavora, costruisce, ama, crea, che deve sopportare un altro partito, quello di chi distrugge, demolisce, usa la violenza, odia e devasta. È il bipartitismo di sempre.
Ma da dove nasce il popolo dell’aratro? I Misteri che Péguy ha dedicato a Giovanna d’Arco – uno dei più travolgenti capolavori letterari del Novecento – mostrano meravigliosamente qual è la forza degli inermi, quella che porta i “senza potere” alla vittoria: la Speranza. La Speranza è la vera protagonista della vita di tutti gli esseri umani che affrontano ogni giorno la fatica del vivere, che lavorano, costruiscono, mettono al mondo dei figli, che affrontano il dolore e in particolare il dolore più immane (che Péguy ha provato): la sofferenza dei figli, il dolore degli innocenti. La Speranza ha un’origine divina, tanto è vero che è una delle tre virtù teologali, le virtù che sono suscitate dalla grazia divina. Ed è la piccola Speranza dicono i poemi di Péguy la bambina che prende per mano e si porta dietro, con la luce negli occhi, le due sorelle maggiori: la Carità, che è il grande ospedale che cura le ferite dell’umanità, e la Fede, la grande quercia piantata come una cattedrale sul suolo di Francia.[1]”
Ecco cosa c'è di così bello e semplice e cosa il giornalista ci ha aiutato a capire di Péguy e di quello che ci insegna tanto: la speranza è piccola, come una bambina, ma ha un'origine divina e una missione così grande... quella di portare per mano, per le sue piccolissime mani, le due grandi sorelle, cioè la Fede e la Carità. La speranza è la vera protagonista della vita di tutti gli esseri umani che affrontano la fatica di vivere ogni giorno. La speranza è la forza dei deboli, di coloro che hanno scelto di essere del partito dei costruttori e non dei distruttori. Speranza... Speranza!
È interessante notare che ora scopriamo che il motore che fa sì che l'umanità, nei suoi singoli membri, affronti le sfide della vita è la Speranza. È la speranza di un miglioramento, di un mondo migliore, di una vita migliore che fa muovere la vita stessa! Cioè, l'esercizio quotidiano della pratica della Speranza, coltivata internamente, dà senso e orientamento alla vita di ciascuno di noi. È la dimensione esistenziale della virtù della Speranza. È la dimensione orizzontale di questa virtù, che, sebbene sia stata identificata con l'origine divina da Charles Péguy, è in realtà una risorsa della vita umana.
E Pallotti lo ha capito anche questo! Sì, è vero! Pur avendo una chiara consapevolezza teologico-spirituale della virtù teologale della Speranza, lo incontriamo con i piedi per terra, cioè consapevoli dell'umanità stessa: lo incontriamo pienamente umano.
Ad un suo amico sacerdote, da lui guidato spiritualmente, di nome Felice Randanini e che sembrava sempre molto inquieto[1] nell'accogliere[2] e vivere la volontà di Dio, Pallotti scrisse molte lettere, esortandolo ad essere fermo, forte e insistente nel luogo in cui Dio lo aveva posto, cioè qualche responsabilità nella Nunziatura Apostolica di Vienna.
A lui, Pallotti scriveva con grande tenerezza e sincerità:
"Finché si vive, c'è speranza: hai ancora la possibilità di ottenere tutto; E spero che tu ottenga tutto, e più di quanto desideri. Pregate, pregate con fiducia – Sancti qui sperant in Domino habebunt fortitudinem, assument pennas ut aquilae, volabunt et non deficient = Chi spera nel Signore ritrova le forze, mette le ali come aquile, corre senza difficoltà, cammina senza stancarsi (cfr Is 40,31) – Dio è con te – Dio sia sempre con tutti".[3]
Ci sono diversi elementi da cui possiamo estrarre un riflesso orizzontale, posso dire, umano, in senso esistenziale … ma vorrei solo sottolineare questo aspetto: vita e speranza vanno di pari passo! “Finché si vive, c'è speranza”. Dove c’è vita, dove c’è respiro, dove c’è anche qualche briciola di vita... La speranza c’è! Sempre!
Vi invito ad ascoltare alcune testimonianze forti, per illustrare ciò che vi dico:
- Da un padre di famiglia sopravvissuto al terremoto in Siria nel febbraio 2023: Osama Abdel Hamid ha detto che la sua famiglia stava dormendo quando è iniziato il terremoto. “I muri sono crollati su di noi, ma mio figlio è riuscito a uscire”, ha detto. “Ha iniziato a urlare e la gente si è radunata intorno, sapendo che c'erano sopravvissuti, e ci hanno tirato fuori da sotto le macerie”. I residenti hanno sollevato le macerie delle loro ex case e hanno salvato la famiglia[4].
- Da una ragazza sopravvissuta alla guerra in Ucraina che dice: Laggiù in Russia ho uno zio. Sa cosa mi ha detto al telefono oggi? ‘Katya? Chi è Katya? Ragazza, non ti conosco... Quale guerra, cosa Katya?’ E poi scrisse da un altro numero: ‘Katya, non scrivermi. È pericoloso per me e la mia famiglia’. E la ragazza continua: È spaventoso anche quando i bambini piangono, ma non puoi piangere da solo. Non devono sentirti piangere... Te lo dico... Dico a tutti: abbracciate i vostri bambini! Abbracciateli! Altrimenti te ne andrai e non ricorderanno nemmeno il tuo odore. Se sopravvivo e avrò dei figli, li abbraccerò giorno e notte[5].
- Da un ragazzo sopravvissuto al naufragio di Steccato di Cutro, nel Mediterraneo, nel marzo 2023: io sono rimasto in acqua almeno tre ore aggrappato a un pezzo dell’imbarcazione e sono stato soccorso quando era già giorno da una motovedetta della Guardia Costiera[6].
Da tre giovani sopravvissuti alla guerra civile in Congo > Il primo a parlare è il diciassettenne Ladislas Kambale Kombi. Il suo racconto è agghiacciante: dice che suo fratello maggiore è stato ucciso in circostanze ancora sconosciute, e anche suo padre è stato colpito “da uomini in pantaloni da allenamento e camicie militari”. Ha visto tutto e non riesce più a dormire. Di quegli uomini vide il proprio padre fatto a pezzi, ‘poi la sua testa mozzata fu messa in una cesta’ e prima di andarsene presero sua madre che non tornò mai più. Così lui e le sue due sorelline rimasero soli. “È difficile capire una tale malvagità,
- questa brutalità quasi animale”, afferma e presenta al Papa altri giovanissimi che, come lui, hanno sperimentato la violenza con le proprie mani e dice: “Seguendo l'accompagnamento spirituale e psicosociale della nostra Chiesa locale, io e gli altri bambini che sono qui abbiamo perdonato i nostri aguzzini. Per questo ho giaciuto davanti alla croce di Cristo vincitore, il martello, uguale a quello che ha ucciso mio padre”. Anche Léonie Matumaini, che frequenta la scuola elementare sotto la croce vuole deporre un coltello “lo stesso che ha ucciso tutti i membri della mia famiglia in mia presenza e che mi è stato dato dai carnefici”. Poi Kambale Kakombi Fiston, 13 anni: “Perdono i carnefici che mi hanno rapito per 9 mesi. Chiedo a Cristo, vittorioso sulla croce, di toccare il cuore degli aguzzini perché liberino gli altri bambini che sono ancora nella boscaglia”.[1]
Di fronte a queste testimonianze, dobbiamo ancora ripetere: finché si vive, c'è speranza. Credendo sempre che gli uomini, le donne, di qualsiasi età e condizione, abbiano sempre dentro di sé la capacità di non mollare finché c'è anche la minima possibilità di successo.
In sintesi, anche se possiamo identificare due partiti nel mondo, cioè il partito delle persone che costruiscono e il partito delle persone che distruggono, e anche se sembra che questi siano più forti, quelli che coltivano il senso della speranza non si arrendono mai. Continua a costruire e ricostruire. Sognano e camminano verso la realizzazione di quel sogno. Cerchiamo di essere forti per fare dei passi, per muoverci, per aprire strade, per fare scelte creative e coraggiose.
Questa è, possiamo dire, la dimensione esistenziale della virtù della speranza.
E chiediamoci: ti arrendi facilmente di fronte alle tue difficoltà? Le tue difficoltà sono davvero sfide, come quelle che abbiamo sentito, a cui arrendersi così facilmente?
Di fronte alle difficoltà della comunità, riesci a trovare dentro di te la speranza che non muore mai?
“Finché si vive, c’è speranza”: la dimensione teologica della speranza
Nel nostro primo momento, nella nostra prima riflessione, abbiamo parlato della Speranza in senso umano, orizzontalmente parlando. La speranza è il sentimento di fiduciosa attesa che ciò che si desidera si realizzerà ora o in futuro. Possiamo dire che è una forza umana interiore, un impulso di vita che genera vitalità, resistenza, coraggio, sogno. Non arrenderti di fronte alle difficoltà. Costruire significa migliorare la propria vita e la comunità umana.
Il nostro sguardo ora si rivolge al cielo, al cielo... Uno sguardo che verticalizza la nostra riflessione. Sappiamo bene che questa è la volontà salvifica di Dio stesso, quando entra e si incarna nella storia umana: ovviamente non la distrugge, non distrugge gli elementi dell'umanità, ma assume l'umanità e la arricchisce degli elementi divini.
E così è anche per la virtù umana della Speranza: Nostro Signore Gesù Cristo, pienamente uomo e pienamente Dio, la assume e la restituisce carica anche del cielo, di elementi teologici e spirituali... possiamo anche dire che Egli la divinizza! Sì, Egli dà un senso nuovo alla Speranza. Dà una nuova direzione al cielo alla Speranza...
Per i cristiani, oltre a una vita migliore, attraverso la virtù della speranza cristiana, si desidera il Regno dei cieli e la felicità eterna. Ecco cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica:
“La speranza è la virtù teologale con la quale desideriamo il Regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, confidando nelle promesse di Cristo e confidando non nelle nostre forze, ma nell'aiuto della grazia dello Spirito Santo. ‘Manteniamo la professione della nostra speranza senza vacillare, perché colui che ha promesso è fedele’ (Eb 10, 23). Lo Spirito è stato ‘effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, perché, giustificati nella sua grazia, diventiamo eredi della vita eterna secondo la speranza’ (Tt 3, 6-7)”[1]
La Speranza cristiana ci fa alzare gli occhi a Dio e al suo Regno. Ci fa desiderare di condividere questo Regno e di godere della Vita Eterna. Già qui... anche se non ancora del tutto... La Speranza cristiana non poggia sull’impegno umano, ma sulla fede in Gesù Cristo stesso e nell’azione dello Spirito Santo, che è sempre fedele. Dio è fedele. La Speranza cristiana getta l’ancora lì, nel Dio fedele, e spera in Lui.
Il nostro Santo Fondatore ha sperimentato la forza dell’attesa in Dio. Lui aa scritto:
Mio Gesù, la mia ferma speranza in Te è la mia onnipotenza: per pietà fatemi sempre presente, e vivissimo il mio nulla, acciò sia tutto Voi, perduto in Voi, e trasformato in Voi, nel Padre, e nello Spirito Santo, e sia tutti i vostri attributi, volere, e, amore.[2]
Per il Santo, sperare in Dio è onnipotenza. È consapevole delle sue debolezze e dei suoi limiti, ma diventa forte perché sa che sperare in Dio è forza e vigore. È la sua onnipotenza!
Affinché questa certezza della fede fosse così profondamente radicata in Lui, il Santo Fondatore ci ha insegnato anche come far crescere e approfondire la Speranza cristiana. Secondo lui, ricordare la presenza di Dio spesso riporta la speranza veramente viva
Debbono regolare, e animare tutti i pensieri, parole, ed operazioni di tutta la vita, anche le indifferenti, e necessarie alla propria conservazione da un fervente, e umile spirito di Fede, di Speranza, e di Carità verso Dio, e verso il Prossimo. Per mantenere fervente, e umile lo spirito di Fede, di Speranza, e di Carità verso Dio, e verso il prossimo ricorderanno spesso la Presenza di Dio, e perciò in tutti i luoghi della Casa quando vi entreranno per rimanervi per qualche tempo, o ne usciranno si porranno genuflessi per adorare Iddio presente per lo spazio di un’Ave Maria, o circa. E osserveranno tutte le regole, e profitteranno di tutti i mezzi ordinati per ricordare la presenza di Dio. Per mantenere nella possibile attualità la memoria della Presenza di Dio, saranno sommamente diligenti nel custodire i sensi per conservare l'interno raccoglimento.[3]
Ricordando la presenza di Dio, lo spirito di fede, di speranza e di carità rimane fervente e umile. Coltivare questa sensazione di essere sempre presenti davanti a Dio. Fare le cose con Dio, muoversi in Dio, agire in Dio... Sempre. Perché in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo.[4]
Secondo il Catechismo, abbiamo visto che la virtù teologale della Speranza ci fa desiderare il Regno e la Vita Eterna. In consonanza, Pallotti ci parla di coltivare la nostra presenza in Dio per mantenere viva la speranza, riconoscendola come nostra onnipotenza! Ma va anche oltre: Pallotti dà grande importanza a questa virtù teologale quando insegna che il premio della speranza è il possesso eterno di Dio.
Ci sono diverse citazioni in cui lo afferma correttamente. Eccone solo due:
Considerate la Carità del B. Ippolito: la Carità del nostro Beato produsse gran bene alle anime perché fu animata da una ben fondata speranza; sapeva egli, che il premio della virtù della speranza è il possesso eterno di Dio, e perciò trattava in modo l’opera divina della salute delle anime, che aspirava non solo per se, ma esimio pe’i prossimi conseguire l’eterno possesso di Dio, onde se istruiva i fanciulli nei Misteri della Fede, e nella legge del Signore, se animava i peccatori a convertirsi, i tribolati alla pazienza, gli infermi, e morienti alla rassegnazione alle divine disposizioni, e se tutti eccitava grandi e piccioli, nobili e plebei, dotti e ignoranti ad allontanarsi mai sempre dal peccato, a operare il bene, ciò faceva con tale spirito, che mentre eccitava in loro l’orrore del vizio l’amore della virtù li disponeva ancora a una piena diffidenza di se stessi, e a una piena confidenza in Dio, affinché stabiliti tutti su di ben fondata speranza, tutti giungessero al possesso di quel Dio, in cui avevano sperato.[1]
- Trinità in unione di tutte de Creature, e per mani di Maria SS. Avvocata, e Rifugio di noi tutti miserabili peccatori, e per mezzo di tutta la Corte celeste vi offeriamo adesso e sempre ad ogni momento i meriti infiniti dello stesso N. S. Gesù Cristo, e i meriti della sua Chiesa in ringraziamento di tutti i doni conceduti alla vostra fedelissima Serva S. Margarita da Cortona, e specialmente per averla fatta arrivare nel perfetto esercizio di tutte le virtù a ricevere il premio eterno della virtù della Speranza cristiana, onde è giunta a possedere Voi stesso come sua eterna eredità, e per tutta la eternità può bearsi dicendo IDDio è mio, il Padre che mi ha creato è mio: il Figliuolo, che mi ha redento è mio: lo Spirito Santo, che mi ha santificato è mio; la Potenza di Dio è mia: la Sapienza di Dio è mia, la Carità per essenza, la Purità per essenza, la Santità per essenza è mia: tutti gli infiniti Attributi, e perfezioni di Dio sono mie per goderne per tutta la Eternità. In unione di tutta la Corte celeste diciamo con cuore contrito, e umiliato adesso e sempre per tutta la Eternità.[2]
L'eterna ricompensa della virtù della speranza cristiana è l'eterno possesso di Dio. Non solo desiderare il Regno dei Cieli... ma possedere Dio. Si spera non solo per sperimentare la felicità eterna, ma per possedere Dio!
Questo è forte. Non è facile. Non è qualcosa di ‘basso’. Ci mette su una grande altezza. Pallotti ci insegna che, vivendo l'onnipotenza della Speranza cristiana, coltivando ogni giorno la presenza di Dio, non solo avremo la forza divina per affrontare le vicissitudini della vita, ma erediteremo Dio stesso, come bene personale e comunitario:
Dio è mio, il Padre che mi ha creato è mio: il Figlio che mi ha redento è mio: lo Spirito Santo, che mi ha santificato, è mio; la Potenza di Dio è mia: la Sapienza di Dio è mia, la Carità per essenza, la Purezza per essenza, la Santità per essenza è mia: tutti gli infiniti Attributi e le perfezioni di Dio sono miei per goderne per tutta l’Eternità.
I grandi mistici scrivono di questo ‘possesso di Dio’. Non nel senso che Dio è la mia proprietà, ma nel senso che Dio è la più bella, la più valorosa, la più speciale ricchezza dell’anima. Molti mistici parlano di questa unione fino al possesso di Dio: Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, Caterina da Siena. Hanno inaugurato belle ed impegnative scuole mistiche e molte persone li hanno seguiti. Pallotti non è diverso. Anche Lui ha vissuto questa bella esperienza, profondamente spirituale, fino a dire che ‘Dio è mio, il Padre, il Figlio, lo Spirito... è il mio’! E
anche lui ha messo gli occhi su una strada incredibilmente semplice: la speranza! Il premio della speranza è il possesso di Dio!
Cari amici, anzi… cari miei fratelli e sorelle pallottini, ora ci troviamo di fronte a qualcosa di molto sconvolgente. Siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo quasi semplicemente tacere. Contemplare. Stupiti!
Insomma: la virtù della Speranza Cristiana, così dimenticata quando la mettiamo accanto alle altre due virtù teologali, cioè la Fede e la Carità... questa Speranza che preghiamo poco perché la grazia di Dio la rafforzi e rafforzi ancora di più... questa Speranza cristiana dimenticata è l'onnipotenza dei fedeli deboli ed è la via, come cammino e pratica, per arricchirsi di Dio fino a poterlo sperimentare come una personale proprietà.
Dio è mio! La Sapienza di Dio è mia. L’essenza di Dio, cioè l’Amore, è mio. Dio e tutto di Dio… tutto è mio!
Chiediamoci: Sono certo che ogniuno prega che Dio rafforzi la propria fede; anche sono certo che si prega perché Dio riaccenda la carità nel cuore... ma quando è stata l’ultima volta che ho pregato Dio di riempirmi di speranza?
La vita apostolica pallottina non consiste nel fare molte cose, ma nell’essere uniti all’Apostolo dell’Eterno Padre. Di fronte alle difficoltà individuali, la salute, l’età… Che cosa ne pensate di questo, cioè di sapere che non è quello che faccio che mi rende fecondamente apostolico, ma quello che sono? Capisco e ci credo in questo?
“Finché si vive, c’è speranza”: due ‘luoghi’ dell’apprendimento e dell’esercizio della speranza e, infine, un esempio di incredibile speranza
Papa Benedetto XVI ha scritto un’Enciclica sulla Speranza cristiana. È l’enciclica Spe salvi del 2007. Questo testo, di grande contenuto teologico, contiene anche tanta riflessione che nutre la nostra anima e ci dà spunti per imparare ed esercitare la speranza cristiana. Ho preso proprio dei brani dello scritto del Papa. Ora, pensiamo a due di queste idee pratiche per esercitare la speranza, e conosciamo anche un esempio forte di testimonianza di questa virtù:
- La preghiera come scuola di speranza
Un primo ambito essenziale per l’apprendimento della speranza è la preghiera. Quando nessuno mi ascolta più, Dio ancora mi ascolta. Quando non posso più parlare con nessuno o invocare nessuno, posso sempre parlare con Dio. Quando non c'è più nessuno che mi aiuti ad affrontare un bisogno o un'attesa che va oltre la capacità umana di speranza, Lui può aiutarmi.
Quando sono stato immerso nella completa solitudine...; se prego non sono mai completamente solo. Il compianto cardinale Nguyen Van Thuan, prigioniero da tredici anni, nove dei quali trascorsi in isolamento, ci ha lasciato un prezioso libretto: Preghiere di speranza. Durante i tredici anni di carcere, in una situazione di apparentemente totale disperazione, il fatto di poter ascoltare e parlare con Dio è diventato per lui una forza crescente di speranza, che gli ha permesso, dopo la sua liberazione, di diventare per gli uomini di tutto il mondo un testimone di speranza, di quella grande speranza che non viene meno nemmeno nelle notti di solitudine.
Il cardinale Nguyen Van Thuan, nel suo libro di esercizi spirituali, ci dice che durante la sua vita ci sono stati lunghi periodi in cui non era in grado di pregare e che si atteneva ai testi della preghiera della Chiesa: il Padre Nostro, l’Ave Maria e le preghiere della liturgia. La preghiera deve sempre comportare questa mescolanza
di preghiera pubblica e personale. Questo è il modo in cui possiamo parlare a Dio e il modo in cui Dio parla a noi.
- Azione e sofferenza come ambienti per apprendere la speranza
Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di combatterla, ma non possiamo eliminarla. È quando cerchiamo di evitare la sofferenza ritirandoci da tutto ciò che potrebbe comportare dolore, quando cerchiamo di risparmiarci lo sforzo e il dolore di perseguire la verità, l'amore e la bontà, che scivoliamo in una vita di vuoto, in cui può non esserci quasi nessun dolore, ma l’oscura sensazione di mancanza di significato e abbandono è ancora più grande.
Non è schivando o fuggendo la sofferenza che veniamo guariti, ma piuttosto dalla nostra capacità di accoglierla, di maturare attraverso di essa e di trovare senso attraverso l'unione con Cristo, che ha sofferto con amore infinito.
Accogliere l’altro che soffre, significa che io assumo la sua sofferenza in modo tale che diventi anche la mia. Poiché ora è diventata una sofferenza condivisa, però, in cui è presente un’altra persona, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore. La parola latina con-solatio, ‘consolazione’, esprime questo in modo meraviglioso. Suggerisce di stare con l’altro nella sua solitudine, in modo che cessi di essere solitudine.
Inoltre, la capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è un criterio essenziale dell’umanità perché, se il mio benessere e la mia sicurezza sono in definitiva più importanti della verità e della giustizia, allora prevale il potere del più forte, allora la violenza e la menzogna regnano sovrane.
La verità e la giustizia devono essere al di sopra del mio comfort e del mio benessere fisico, altrimenti la mia stessa vita diventa una menzogna. Alla fine, anche il ‘sì’ all’amore è fonte di sofferenza, perché l’amore richiede sempre espropriazioni del mio ‘io’, nelle quali mi lascio potare e ferire. L’amore non può esistere senza questa dolorosa rinuncia a me stesso, perché altrimenti diventa puro egoismo e quindi cessa di essere amore.
Nelle prove veramente serie, nelle quali devo fare mia la decisione definitiva di anteporre la verità al benessere, alla carriera, al possesso, diventa necessaria la certezza della vera e grande speranza, di cui abbiamo parlato. Questa capacità di soffrire, tuttavia, dipende dal tipo e dall’ampiezza della speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo.
III. Un esempio di incredibile speranza: Maria, Stella Maris, stella della speranza
Con un inno composto nell’VIII o IX secolo, quindi per oltre mille anni, la Chiesa ha salutato Maria, la Madre di Dio, come ‘Stella del Mare’: Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale destinazione? Come troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso buio e tempestoso, un viaggio in cui si osservano le stelle che indicano la rotta.
Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno vissuto una bella vita. Sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la vera luce, il sole che è sorto al di sopra di tutte le tenebre della storia. Ma per raggiungerlo abbiamo bisogno anche di luci vicine, di persone che risplendano della sua luce e così ci guidino lungo il nostro cammino.
Chi più di Maria potrebbe essere per noi una stella di speranza? Con il suo ‘sì’ ha aperto la porta del nostro mondo a Dio stesso; è diventata l’Arca vivente dell’Alleanza, nella quale Dio si è incarnato, si è fatto uno di noi e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14)?
Conclusione:
Nel 1825, il giovane sacerdote Vincenzo Pallotti ha vissuto il suo unico Giubileo. Possiamo immaginarlo attivamente coinvolto in tutte le attività che si svolgevano attorno alle Porte Sante: processioni, celebrazioni e un afflusso considerevole di persone desiderose di ricevere le confessioni. Si narra che egli abbia ricevuto l’autorizzazione ad ascoltare le confessioni in tutta l’Urbe.
In quell’anno, Papa Leone XII desiderava un Giubileo che potesse infiammare la fede e la carità. Nella Bolla Quod Hoc Ineunte, con la quale venne indetto quell’anno santo, lui scrisse:
“(…) In questo anno che giustamente chiamiamo tempo grato e salvifico, Ci compiacciamo che ci sia data la straordinaria opportunità di procurare, con la salutare purificazione di tutto il popolo cristiano, un generale rinnovamento in Cristo, dopo il miserando cumulo di mali che ci afflisse (…)”
“(…) Pensate, infatti, quanto concorra ad infiammare la fede e la carità negli animi dei visitatori l’aggirarsi per questi luoghi antichi, ai quali è mirabilmente affidatala maestà della Religione; far rivivere nell’immaginazione tante migliaia di martiri che consacrarono questa terra con il loro sangue; entrare nelle basiliche, osservare i sacri epitaffi, venerare le reliquie (…)[1]”
Queste espressioni non ci sono estranee: rinnovamento, infiammare, rivivere. Possiamo immaginare che, durante il periodo tra 1825 e 1835, l´anno dell’ispirazione carismatica, queste parole risuonavano nel cuore del Fondatore e continuarono a farlo fino ad oggi: ravvivare la fede e riaccendere la carità.
In questo contesto, quest’anno Papa Francesco, nella Bolla Spes non confundit, con la quale ha indetto il Giubileo 2025, lui scrive:
“Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni”[2].
Ecco qui qualcosa di bello e sfidante che non voglio spiegare le loro relazioni e vicinanza … ma secondo me, c’è qualcosa di molto simili: ravvivare la fede… riaccendere la carità … rianimare la speranza. RIANIMARE la Speranza. Anima. Soffio di Vita. Vita!
Finché c’è Vita, c’è Speranza!