SNI: un’esperienza di mani vuote e cuore pieno

a cura di paolo (0 commenti)

SNI: un’esperienza di mani vuote e cuore pieno

(Servizio Itinerante Notturno)

 

PARROCCHIA SAN POLICARPO – ROMA

Faccio parte della Parrocchia San Policarpo. Don Alessandro Zenobbi è il Parroco che ha sempre collaborato ed invitato a collaborare con la Caritas diocesana. Sentendo parlare dell’iniziativa dello SNI, ha chiamato  alcuni  operatori/animatori Caritas affinché venissero a presentare questo progetto al gruppo parrocchiale “Buon Samaritano”.

Nel primo incontro, in Parrocchia, son venuti Luana e Michele i quali, più che con le parole,  attraverso la loro testimonianza hanno illustrato il lavoro silenzioso e nascosto che si realizza di sera tardi per le strade di Roma. Il resto è stato appreso facendo subito tirocinio per strada a turno, ogni quindici giorni per gruppo. In uno di questi due gruppi sono capitata anch’io insieme a Sr Venicia, una mia consorella brasiliana.

Il bene fatto da solo è poco e infruttuoso, ma quello fatto insieme è duraturo. Così diceva San Vincenzo Pallotti. Ed ancora: “Vorrei essere piuma morbida, per far riposare chi è stanco e sfiduciato…. Vorrei essere cibo, per saziare chi ha fame o tonico per ristorare chi è senza forza…., vorrei essere luce per i ciechi e vita per chi è morto”. Con profonda gioia devo dire che questo si realizza vivendo l’esperienza dello SNI.

Scorrono davanti ai miei occhi non solo fratelli senza fissa dimora, i cosiddetti  "Clochard", ma fratelli con un nome proprio, con una storia personale che spesso è lontano dal nostro ben pensare.

Nelle storie di vita di questi fratelli e sorelle si nascondono lacrime, solitudine e per  una serie di eventi di “rottura”  dovuta a separazioni familiari, sfratti, perdita del lavoro, disagio psichico, istituzionalizzazioni, conflitti in famiglia, abbandoni scolastici, tossicodipendenza, carcere ,  ed altro…  La persona rimasta senza lavoro, senza casa, senza un supporto familiare ed amicale spesso si rivolge, non senza vergogna, ai servizi pubblici per chiedere aiuto, ma  non sempre  viene capita e quindi l’alternativa è la “strada”.

Luana, Michele, Davide ed altri responsabili che a turno ci accompagnano per conoscere questi fratelli ci parlano, proprio perché nel cuore si inizi a far spazio all’altro.

Per ora riporto l’esperienza di Maria Rosaria, una del gruppo “Buon Samaritano”.

 

Il punto di vista. L’esperienza del Servizio Notturno Itinerante (SNI)

 

Com’è bella Roma di notte. Alla confusione del giorno si contrappone un’atmosfera di tranquillità che riesce a farti apprezzare tutte le sue meraviglie: vicoli, piazze, monumenti, in un susseguirsi di luci ed ombre. Passeggiare tranquillamente, a tarda ora, permette di godere di tutte quelle bellezze che di giorno, in fretta, appena si intravedono. Ma la notte rende visibili anche una serie di situazioni che di giorno si perdono nei ritmi frenetici e nella confusione cittadina. Nella notte prendono forma gli invisibili: donne e uomini, italiani e non, giovani e meno giovani, che non hanno un tetto, una casa, un alloggio stabile. E così la sera sono lì, nel loro giaciglio di fortuna, sotto un ponte, un portico, su un semplice marciapiede, al caldo, al freddo, sotto la pioggia, dimenticati da tutti, scansati, evitati, per timore.

La paura ci fa correre, voltare la faccia dall’altra parte, scappare.

Ma non si può scappare sempre, la realtà va affrontata, anche se dura, e soprattutto va conosciuta.

Da questa convinzione è nata la mia piccola esperienza, il mio intento di scoprire l’altro, diverso da me. Da qui la scelta di aderire, attraverso la Parrocchia di San Policarpo, al Servizio notturno itinerante Caritas (SNI), attivato a gennaio.

Dopo una breve formazione in aula, io insieme ad altri volontari, abbiamo iniziato l’esperienza sul campo, affiancati da operatori Caritas. Così, suddivisi per gruppi, a rotazione, periodicamente visitiamo “l’altra Roma” o meglio “l’altra Roma di notte”.

Brevi itinerari ma lunghi e profondi viaggi verso l’ignoto, nei meandri della multiformità dei casi umani. Una cosa è passare, vedere e andare oltre, un’altra è fermarsi e parlare. E allora ecco che lo sconosciuto, fonte di timori e pregiudizi, diventa un altro, con un nome, una storia, una identità, ed entra a far parte del nostro patrimonio di conoscenze per sempre. Potrei fare nomi, citare casi ma, mentre riavvolgo il nastro, un ricordo riaffiora più forte degli altri, trasversale.

Alla prima uscita siamo andati a trovare un gruppo familiare che vive da molto tempo sotto i ponti della tangenziale est di Roma, a ridosso della stazione ferroviaria Tiburtina. Era pieno inverno ed è inutile dire quanto quella sistemazione fosse precaria e fredda, ma quello che mi è rimasto dentro è altro: il punto di vista. Mi spiego meglio. Ogni sera, prima di andare a letto, ho l’abitudine di guardare fuori dalla finestra; mi piace guardare la strada senza traffico, il Parco degli Acquedotti buio e silenzioso, la città che dorme e si prepara ad una nuova frenetica giornata. La scena davanti ai miei occhi è quasi sempre la stessa da anni, tanto da diventare rituale. Solo ora mi rendo conto quanto quello scatto sia prezioso perché scattato da una prospettiva fortunata, privilegiata. Io sono all’interno della mia abitazione, al sicuro, protetta, vestita, pulita, circondata da una serie di comodità e soprattutto con le persone a me più care accanto. E fino a pochi mesi fa non mi è mai sfiorata l’idea che quella immagine prima di addormentarmi potesse essere diversa. Poi, all’improvviso, mi sono ritrovata sotto il ponte della tangenziale a parlare con loro e, parlando, ci hanno raccontato di essere stati più volte cacciati perché gli abitanti dei condomini di fronte li avevano denunciati e, parlando, ci hanno indicato le finestre di fronte. Così, seguendo il loro dito, ho visto, dall’altra parte della strada, dei condomini, con le finestre chiuse e all’interno luci, colori, persone. In quel momento è scattato in me qualcosa. Mi sono vista fino al giorno prima dietro quei vetri a guardar fuori. Ora ero dall’altra parte: al freddo, al gelo, senza una casa, senza una famiglia.

La realtà non è una, è molteplice e varia, a seconda del punto di vista dal quale la osservi. Bisogna cambiare più spesso il punto di vista ed indossare occhiali con una lente più potente. Altrimenti si corre un rischio troppo alto per sé e per gli altri: guardare e non vedere.                                                                                                                     

Maria Rosaria Falasca

Roma, 30 maggio 2017

 

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